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PRESIDENZIALISMO ALL’ITALIANA

PRESIDENZIALISMO ALL’ITALIANA

Torna il dibattito sulle riforme istituzionali : il presidenzialismo al centro della scena.

Il dibattito politico, ciclicamente, s’infiamma riguardo ad un tema, quello delle riforme istituzionali, che pare destinato a non trovare mai approdo, confinando, così, la propria funzione a mero esercizio dialettico tra le parti.

Diversi governi hanno assegnato a sé stessi il compito di riformare la Carta costituzionale, quasi fosse un’investitura divina da cui dipendeva il prestigio dell’esecutivo.

Il primo fu il governo Prodi con la bicamerale del 96 che venne fatta deragliare dal centro destra con l’Ulivo che approvò in ogni caso il testo fino ad allora condiviso: da qui la riforma del titolo V della Costituzione i cui effetti tutt’ora non si comprende se siano stati migliorativi.

Ad essa è seguita la devolution berlusconiana e il tentativo, nel 2016, di Renzi: entrambe le riforme sono state impallinate dal referendum.

Oggi ci riprova Giorgia Meloni che può contare su una maggioranza sufficiente per attuare la riforma, coronando così il sogno che fu anche dei suoi predecessori, cioè quello di iscrivere il proprio nome trai padri (e le madri) fondatrici della patria e lo fa galoppando sul personale consenso e in sella ad uno dei cavalli di battaglia storici della destra italiana: il presidenzialismo.

Cosa prevede questa riforma? Ancora i contenuti rimangono sconosciuti, si sa che dovrà ricomprendere “l’autonomia differenziata”, tema a cui si aggrappa la Lega per arginare la crisi di consensi e di identità,  tutto il resto è lasciata all’immaginazione alle suggestioni che può evocare l’idea di una repubblica presidenziale.

Ragionevolmente possiamo pensare che l’idea alla base di questa riforma sia un rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio (a questo punto a scapito del Presidente della repubblica) eletto direttamente dal popolo e al quale verrebbe riconosciuto il diritto di vita e, soprattutto, di morte della legislatura potendo ben sciogliere le camere. Più in là sarebbe inopportuno spingerci in assenza di un testo su cui discutere.

Ma già questi pochi tratti inducono a più di una riflessione: se è vero che oggi nell’elettorato c’è un “semipresidenzialismo percepito”, ovvero la maggior parte deli elettori è convinta di leggere sia il premier che il governo e che quindi il passaggio ad un assetto costituzionale diverso sarebbe meno impattante è altrettanto vero che dobbiamo chiederci quali benefici realmente ci derivano dall’adozione di un simile sistema.

Il primo argomento che viene speso è quello della “stabilità “di governo che viene indicata come conseguente all’adozione dl presidenzialismo.

Ora , se è vero che il nostro sistema ha nella mancanza di stabilità, per cui nessun governo è durato tutta la legislatura, una delle sue falle più evidenti, risulta molto difficile capire perché il presidenzialismo dovrebbe correggere siffatta stortura; la tesi dei più è che l’applicazione del principio “simul stabunt simul cadent”, ovvero il potere riconosciuto al presidente di sciogliere le camere come già avviene nei consigli comunali e regionali, dovrebbe garantire la longevità dell’esecutivo, restano da approfondire gli effetti di un simile “innesto” nell’impianto costituzionale.

Il quadro degli ultimi anni ci restituisce un paese o cui assetti istituzionali sono caratterizzati oltre che dalla cronica instabilità degli esecutivi, accentuata in un paio di occasioni da maggioranze tutte da costruire dato l’esito delle elezioni, da un ruolo sempre più atrofizzato del parlamento cui ha dovuto supplire il Presidente della repubblica: è chiaro infatti che è stata l’azione presidenziale, con Napolitano prima e Matarella ora, a costituire un argine solido alle derive di una classe politica allo sbando e vincolata al consenso di giornata in momenti di grave difficoltà per il paese (lo spread fuori controllo quando nacque il governo Monti e l’esplosione della pandemia più di recente). 

 Ora, se c’è un’istituzione che in Italia ha più volte dimostrato di saper assolver ai propri doveri e di fatto funzionare questa è quella del Presidente della Repubblica, bisognerebbe chiedersi perché riforare priprio questa isitutzione, l’unica che funziona egregiamente.

Io penso che per la destra della Premier non sia tanto una questione di miglioramento degli assetti istituzionali quanto poter stravolgere la Carta Costituzionale, che così modificata di fatto sognerebbe il tramonto della Costituzione nata dalla resistenza e dall’antifascismo, l’oscuramento della stella polare di un intero sistema democratico.

Non sono uno strenuo difensore della carta sono convinto he andrebbe modificata in più punti anche pe renderla meglio aderente alle necessità di un paese estremamente complesso.

Diro di più: non ho mai amato la retorica della “Costituzione più bella del mondo” non approvando il rigido conservatorismo con cui molte forze politiche approcciano il tema.

Tuttavia, mi domando se possiamo sacrificare il nostro principale impianto istituzionale in ragione di una Real Politik che corrisponde in primis a interessi di partito e forse a quelli del paese.

Oltre al pensiero che coltivo da tempo che, per furore ideologico e intresi di partito, nel 2016 abbiamo perso l’unica vera occasione di dare un migliore impianto istituzionale al paese.

La Storia giudicherà.

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Nicola Fiorin

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