Ha preso il via in Qatar la nuova, discussa, edizione dei campionati mondiali di calcio: da più parti si esorta al boicottaggio a causa della sistematica violazione dei diritti umani nell’Emirato, ma è davvero la prima volta che succede ad un campionato del mondo? Quanto è profondo il rapporto tra calcio è politica?
Boycott Qatar 2022: è un hashtag piuttosto ricorrente in questi giorni, uno slogan diffuso, perlomeno nel mondo occidentale.
Le ragioni di questo invito sono molteplici: il Qatar, paese ospite, ha investito una cifra pari a 22 miliardi di euro per dotarsi degli stadi necessari allo svolgimento di tutte le partite e per costruirli ha utilizzato mano d’opera sottopagata ai limiti della schiavitù date le condizioni e. i turni di lavoro.
Io stesso ricordo di esserci stato qualche anno fa e i preparativi peri il mondiale già fervevano: allora sentivo parlare di lavoratori pakistani e bengalesi ospitati in baracche nel deserto e turni di 24 ore per la costruzione degli stadi.
L’organizzazione del mondiale 2022 è stata assegnata al Qatar nel 2012 dall’allora presidente delle Fifa Josep Blatter, poi travolto con tutto il suo entourage, dagli scandali sulla corruzione ed avviene immediatamente dopo l’assegnazione dell’edizione 2018 alla Russia.
Questa doppia scelta sancisce in maniera definitiva il fatto che la FIFA non annovera tra i criteri di assegnazione il grado di libertà e democrazia dei paesi candidati e, secondo alcuni, sancisce in modo inequivocabile la prevalenza delle ragioni del business su quelle etico sportive.
Tuttavia, non è la prima volta che l’organizzazione dei campionati del mondo e di un evento sportivo in genere si pieghino e si prestino alla propaganda di un regime: nel 1976 si giocò in Cile la finale di coppa Devis di tennis, a cui la Francia, largamente favorita, non partecipò per protestare contro il regime di Pinochet: fu l’occasione per l’Italia guidata da Claudio Panatta per vincere quel trofeo. La finale si giocò all’Estadio Nacional di Santiago del Cile che solo tre anni prima era stato trasformato in un immenso car ere a cielo aperto destinato agli oppositori politici . Nei sotterranei e sotto le tribune dello stadio i prigionieri venivano sistematicamente torturati e uccisi. In segno di sfida al regime Panatta e Bartolucci giocarono il doppio indossando una maglietta rossa, passando alla tradizionale casacca azzurra solo nell’ultimo set.
Due anni più tardi si tennero i mondial idi calcio in Argentina dove, il colpo di stato del marzo 1976, aveva visto insediarsi al potere un’altra dittatura militare, quella retta dalla giunta allora guidata dal generale Jorge Rafael Videla con l’ammiraglio Massera che si era dedicato in prima persona all’organizzazione dell’evento costato 500 milioni di dollari (quattro volte di più di quello successivo in Spagna del 1982, molto più caro agli italiani).
La giunta prende il potere il 24 marzo 1976, quella sera era prevista un’amichevole della nazionale in trasferta in Polonia: alla notizia del golpe i giocatori della seleccion chiamano a casa per dire che intendono annullare l’amichevole e rientrare in patria, al contrario, la giunta, impose loro di giocare, consapevole che la partita avrebbe distratto l’opinione pubblica e l’avrebbe tranquillizzata rispetto al colpo di stato: fu chiaro da subito che il calcio, lo sport di massa per eccellenza era un eccezionale strumento per governare gli umori del popolo.
La nazionale Argentina, così, giocò e vinse mentre in patria stava per scatenarsi l’inferno.
La dittatura argentina è stata una tra le più feroci della seconda metà del 900, molto simile per vari aspetti al nazismo, distinta per la repressione brutale di ogni forma di dissidenza attuata con metodo scientifico, perfezionando la pratica della desaparecion, della sparizione, introdotta da Pinochet in Cile tre anni prima. Chiunque fosse sospettato di essere un sovversivo veniva rapito dalle cosiddette “patote”, gruppi di militari in borghese che si muovevano a bordo di Ford Falcon prive di targa: i prigionieri venivano aggrediti in casa o anche per stradLa, trascinati a bordo delle auto e quindi portati in luoghi di detenzione segreti, veri e propri carceri nascoste dove venivano sottoposti a torture e uccisi. Il paese era disseminato di questi centri nei i quali veniva fatta sparire ogni traccia dei prigionieri rendendoli così desaparecidos, appunto, scomparsi: qui venivano torturati tramite la picana, un pungolo elettrico per estorcere loro informazioni di ogni genere e poi vivevano eliminati in vari modi: quello più disumano era rappresentato dagli ormai celebri voli della morte, organizzati da aerei militari su cui erano caricati i prigionieri in stato di semicoscienza dovuta alla somministrazione fraudolenta di sedativi e scaricati ancora vivi in mare, alla foce del Rio della Plata. L’impatto con l’acqua da quell’altezza a quella velocità non lasciava scampo: spesso il mare non restituiva i corpi ma alcuni furono rinvenuti sulla riva uruguagia del Rio e il mondo conobbe così i voli della morte che si tenevano di norma di mercoledì. Nonostante la ferrea propaganda militare le l’orrore che la repressione ha generato soprattutto coi voli del morte insinua il dubbio in alcuni militari: dubbi che venivano fugati da diversi sacerdoti compiacenti che assolvono gli autori di questa barbarie dicendo loro che danno una “morte cristiana” ai terroristi.
In questo modo furono fatte sparire due suore che i militari per dileggio chiamavano le monache volanti, colpevoli solo di aver aiutato i familiari dei desaparecidos oltre a tanti altri dissidenti. Il più famoso dei centri di detenzione clandestina era situato all’interno della scuola meccanica della marina nota come ESMA, in cui era prevista perfino una zona dove far partorire lev prigioniere gravide per poi ucciderle e affidare i loro bambini con adozioni illegali a famiglie vicine al regime. Il dramma dei bambini rapiti continua ancora oggi a produrre i suoi effetti sulla popolazione argentina dove è stata fatta sparire una generazione di ventenni e trentenni a metà degli anni Settanta: grazie al lavoro costante e alla tenacia delle nonne organizzatesi nelle cd “avuelas de plaza de mayo” bardate coi loro foulard bianchi in testa ormai simbolo di resistenza alla ferocia del regime.
Il bilancio finale di questa mattanza sarà di 30mila desaparecidos, di cui 5.000 italiani di prima o seconda generazione.
L’unica opposizione al regime sarà quella condotta dalle madri degli scomparsi che cominceranno a trovarsi inizialmente in un caffè di Buenos Aires per condividere le poche informazioni poi a uniris ed organizzarsi in un vero proprio movimento che si trasferirà di fronte alla casa Rosada, sede del governo, in Plaza de Mayo da cui prenderanno il nome di “Madres de plaza de mayo”
Nel 1978 l’Argentina attraversava il periodo di massima ferocia della dittatura e il regime intese utilizzare il mondiale, che a questo punto doveva essere vinto per forza, come formidabile veicolo di propaganda per accaparrarsi un consenso vacillante a causa della precaria condizione economica del paese già duramente provato dalla morsa autoritaria della dittatura.
Il mondiale così viene dichiarato obiettivo strategico nazionale e creato un ente apposito: l’EAM (Ente Autarquicco Mundial), guidato, inizialmente, da Omar Actis, un generale vicino a Videla, morto poche settimane dopo in un attentato di cui vengono incolpati i Montoneros, uno dei gruppi della lotta armata per contrastare i quali l’esercito ha preso il potere. Alla gestione del mondiale all’esercito subentra la marina, nella figura dell’ammiraglio Carlos Alberto Lacoste che assegna l’intera comunicazione del mondiale ad un’agenzia americana che dovrà occuparsi di trasmettere un’immagine rassicurante del paese latino-americano: sarà il primo mondiale trasmesso a colori dalla televisione. Oggi c’è più di un dubbio sulla responsabilità dell’omicidio di Actis per il quale è fortemente sospettata la marina argentina che poi si impadronì dell’organizzazione del mondiale.
La storia di quel campionato del mondo è nota: vinse l’Argentina, non certo la formazione più forte, battuta anche dall’Italia di Bearzot, dopo aver superato in semifinale il Perù con un farsesco 6 a 0 frutto, con ogni probabilità di un accordo che garantiva agli andini ingenti forniture di grano e avendo battuto in finale l’Olanda di Cruijff ( che però non prese parte a quel mondiale per ragioni mai chiarite del tutto) ai supplementari e grazie all’arbitraggio più che sospetto dell’italiano Gonnella.
Il ct albiceleste Menotti, noto per le sue simpatie di sinistra, dichiarerà che “la nazionale giocherà per alleviare le sofferenze del nostro popolo e non per i generali”, ma in ogni caso gioca e il capitano Daniel Passarella alzerà la coppa (la pria nella storia del calcio argentino).
Il bomber di quella squadra è Mario Kempes, capocannoniere del torneo, il quale si vocifera non strinse la mano a Videla.
Chi non la strinse di sicuro è stato Josè. Carrascosa, capitano designato della selecciòn che però rifiutò la convocazione perché “«perché quello che stava accadendo mi faceva stare male. Non avrei potuto giocare e divertirmi, non sarebbe stato coerente».
E anche tra i giocatori della nazionale si conta un desaparecido: il ventiquattrenne Javier Felipe Guzman, nativo di Rosario e bomber del Club Atletico, scomparso nel nulla nel 1977.
Il mondiale del ’78 si svolse in un clima surreale: le squadre blindate nei centri sportivi guardati a vista dai militari, i centri di tortura che interrompevano le attività solo per seguire le partite dell’Argentina. I sopravvissuti ai lager raccontano di scene surreali di carnefici che esultano con le loro vittime: l’ Esma dista circa un kilometro dallo stadio del River Plate e alcuni detenuti sentivano il boato della folla sovrastare le urla dei prigionieri torturati.
Ai festeggiamenti in un hotel di Buenos Aires prende parte anche Licio Gelli: sono provati i rapporti tra la Giunta militare argentina e la P2, che operava anche nel paese sudamericano.
Gelli si è occupato del viaggio di rientro di Peron in Argenitna tre anni prima che in fatti viaggiò su un areo dell’Alitalia, e si è occupato di diverse trame tra i due paesi.
Un mondiale farsa di cui si ricorda la foto di Videla che esulta in abiti civili mentre El Clarin, il principale quotidiano argentino, titola “Un paese finalmente diventato normale” a seguito di quello che il linguaggio burocratico della dittatura definiva “processo di riorganizzazione nazionale” e che altro non era il genocidio di una generazione, passato alla storia col nome di “guerra sucia”, la guerra sporca condotta contro studenti, operai, sindacalisti e donne gravide.
Il mondiale così vinto otterrà l’effetto sperato che però si esaurirà in un paio d’anni, quando si renderà necessario, ne 1983, ravvivare il consenso del popolo verso la dittatura e fu scelto un altro espediente: la guerra l’Ammiraglio Leopoldo Galtieri, all’epoca alla guida della giunta, individuò nella riconquista delle isole Malvinas, piccolo arcipelago al largo delle coste argentine ma di fatto appartenente all’Inghilterra, un nuovo elemento id propaganda per rilanciare l’immagine di una dittatura che aveva, nel frattempo aveva sprofondato il paese in una gravissima crisi economica: nacque così la Guerra delle Falkland il cui esito sarà fatale alla dittatura. ma questa è un’altra storia e dovrà essere raccontata un’altra volta.
Piccola soddisfazione: la nazionale Italiana, che quattro anni dopo sarebbe diventata campione del mondo, vinse contro l’Argentina padrona del mondiale della vergogna: 1 a0 gol di Bettega (per la cronaca).