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Ragazzi dentro: quali le condizioni negli istituti di pena per minori in Italia?

Ragazzi dentro: quali le condizioni negli istituti di pena per minori in Italia?

di Nicola Fiorin

A metà degli anni 80 un fece molto scalpore Mery per sempre, un film ambientato a Malaspina, il carcere minorile di Palermo, che per primo fece mergere il problema delle condizioni dei detenuti minorenni in Italia: da allora come un fiume carsico, questo ema affiora nl dibattito pubblico solo saltuariamente, legato ad episodi di particolare gravità, come l’evasione dei sette del Beccaria appunto.

I recenti, rocamboleschi, fatti dell’istituto Beccaria di Milano, con l’evasione di 7 detenuti di cui uno solo maggiorenne, hanno riacceso i riflettori sun una realtà, quella degli istituti di pena minorili, sommersa ed inquietante.

Posto che la principale funzione del diritto penale minorile sarebbe quella del recupero del reo e che la reclusione rappresenta, o dovrebbe rappresentare l’extrema ratio trattamentale, un’ultima spiaggia giustificata dall’impossibilità di adottare una qualsiasi altra misura meno afflittiva a causa della pericolosità sociale del soggetto, ha ancora senso parlare di istituti di pena minorili in Italia? Sono in grado di assicurare le fuzioni per cui sono stati previsti e realizzati?

Cominciamo dai numeri: al 15 gennaio 2022 c’erano in Italia 316 minori e giovani adulti detenuti distribuiti in 17 istituti, da Caltanissetta a Treviso, in strutture con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro. Quello con più presenze era l’IPM di Torino, che ospitava 38 detenuti, mentre alla stessa data a Pontremoli, unico IPM esclusivamente femminile in Italia, c’erano solo 3 ragazze. In tutta Italia quel giorno le ragazze detenute erano 8, per la metà straniere. Complessivamente gli stranieri erano 140.

Si tratta di numeri significativamente più bassi rispetto a quelli che si registravano in passato: al15 gennaio 2020, subito prima dell’arrivo in Italia della pandemia da Covid-19, i ragazzi in IPM erano 375, il 19% in più delle presenze attuali. Questo calo delle presenze è verosimilmente dovuto anche alla pandemia, ma certamente asseconda una tendenza che si registra ormai da tempo.

 Fino ad ora i numeri più contenuti si erano registrati nel 2014, soprattutto per il calo delle presenze di detenuti stranieri. Proprio al 2014 però risale la legge 117 dell’11.08.2014, che ha portato da 21 a 25 anni di età il limite massimo per la permanenza nel circuito penale minorile per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni, con la conseguente crescita delle presenze negli IPM che si è poi stabilizzata intorno alle 300 unità. Senza l’estensione ai 25 anni, ovvero con la previgente normativa allora oggi i presenti sarebbero in tutto 259, 100 in meno del dato più basso mai registrato prima della pandemia.

La distribuzione nel paese di queste presenze resta peròsignificativamente disomogenea. Il sud e le isole ospitano ben più della metà degli istituti, 10 su 17, e oltre la metà delle presenze, il 55,9%(dati gennaio 2022). Questo  dato acquista particolare significato se confrontato con il totale dei giovani in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni alla stessa data. Erano 13.800 e di questi solo il 47,6% era in carico ad uffici del sud o delle isole, mentre ben più della metà era in carico agli uffici del centro e del nord, aree in cui evidentemente le opportunità per percorsi alternativi al carcere sono più diffusi. Si badi bene, in entrambi questi contesti il ricorso all’IPM è decisamente residuale, a metà gennaio 2022 in 316 casi su 13.800 persone in carico, ma resta il fatto che al sud e nelle isole si va in IPM un po’ più spesso.

Caratteristiche della popolazione detenuta

La maggior parte della popolazione detenuta minorile, il 52,5%, è in IPM senza una condanna definitiva. Se paragoniamo questo dato a quanto si registra nelle carceri per adulti, dove le persone senza una condanna definitiva sono attorno al 30%, il dato degli IPM dovrebbe generare allarme. In realtà bisogna considerare che il transito e la permanenza in IPM , è una tappa generalmente breve di un percorso più lungo, che si svolge soprattutto altrove, nelle comunità e sul territorio. Per questo motivo, anche quando si finisce in IPM, non è affatto detto che poi li si conti la pena, o il resto della misura cautelare, e questa è una delle ragioni che spiegano come mai i ragazzi si trovino in IPM più spesso all’inizio del proprio percorso, nella fase della custodia cautelare, anziché più avanti, nella fase dell’esecuzione. Non è però la ragione unica, e di questo torneremo a parlare in seguito..

 Dato certamente significativo, e per certi aspetti sorprendente, è quella dell’età della popolazione detenuta in IPM. Ormai la maggior parte dei ragazzi ristretti negli Istituti penali per minorenni non è in effetti minorenne. I maggiorenni erano al 15 gennaio il 58,5%, un po’ meno tra i soli stranieri, il 56,4%, e decisamente di più tra le sole ragazze, il 62,5%.

La popolazione carceraria minorile inoltre è quasi per la metà composta da stranieri (131)

Quali sono i reati che determinano l’ingresso in istituto? La netta prevalenza dei reati a carico di chi entra riguarda, per il 54%, i delitti contro il patrimonio. Questa percentuale sale al 60% per gli stranieri e addirittura al 73% per le ragazze.

I reati contro il patrimonio sono seguiti da quelli contro la persona, che sono in media all’origine del 20% degli ingressi, percentuale che in questo caso scende al 18% per gli stranieri e addirittura all’8% per le donne. I reati violenti, dunque, sono marginali in IPM, il che in qualche misura sorprende. 

Data la la residualità del ricorso al carcere per i ragazzi in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni, infatti,  ci si aspetterebbe di trovare in IPM solo ragazzi detenuti per fatti molto gravi ma evidentemente non è così. Si finisce in IPM, dunque, non tanto per la gravità del reato commesso, quanto più realisticamente per la difficoltà di trovare un percorso non detentivo che faccia al caso del ragazzo o della ragazza, al quale aderisca e che dunque non comporti un passaggio in IPM, o quanto meno che renda questo passaggio il più breve possibile.

Uno sguardo infine al modo in cui nel corso del 2021 le persone sono entrate in IPM. Anzitutto, com’è prevedibile, la gran parte delle persone che entrano in IPM ci entrano in custodia cautelare, il 75,8%, e solo il 24,2% entra in esecuzione di una pena definitiva. Interessante però la disaggregazione del dato, in forza della quale più della metà degli ingressi non avvevnivano da condizioni di libertà, ma in escuzione di una misura cautelare o per l’aggravio di quella della permamenza in comunità. Parimenti anche per quanto concerne le uscite, la maggior parte dei ragazzi che usciva dagli IPM non andava in libertà, o in una qualche misura alternativa presso il proprio domicilio. Il 52,4% dei presenti usciva dall’IPM per andare in comunità, o perché gli era stata concessa una misura cautelare o esecutiva che prevede il soggiorno in comunità, o perché aveva finito di “scontare” l’aggravamento di cui parlavamo sopra. 

Questo dato acquista particolare significato poiché dimostra come le comunità per minori siano un tassello essenziale del sistema della giustizia penale minorile, ospitando molti più ragazzi provenienti dal circuito penale di quanti ce ne siano in IPM, facendo sperimentare loro livelli di autonomia assai superiori a quelli che sono possibili in una struttura detentiva e garantendo loro un contatto più intenso con il territorio. Questo non significa però che il quadro non presenti anche nodi problematici. 

In particolare, andrebbe considerato con maggiore attenzione il ricorso massiccio alla misura dell’“aggravamento” che, come dicevamo, nel 2021 è stata la ragione di 251 ingressi in IPM, il 30,8% del totale. Si tratta di una misura sostanzialmente sanzionatoria che può avere una durata massima di 30 giorni, e che spesso nella prassi coincide con il suo massimo. 

Questa misura genera inevitabilmente alcune incongruenze. La prima riguarda la permanenza media delle persone in IPM, generalmente piuttosto bassa, di pochi mesi. Ma questo dato medio è chiaramente schiacciato verso il basso dal fenomeno degli aggravamenti. Come detto per chi ne è interessato l’IPM ha esclusivamente una funzione disciplinare, è la misura prevista “nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato dalla comunità”, come recita l’art. 22 comma 4 del D.P.R. 448/1988, il Codice del processo penale minorile. Questo di fatto comporta che in ogni IPM solitamente ci sia un gruppo di ragazzi (composto peraltro non solo da quelli in aggravamento) estranei ai percorsi in atto nell’IPM stesso e poco incentivati ad inserirsi, in quanto destinati ad uscirne in pochi giorni, a fronte di un altro gruppo destinato ad una permanenza decisamente più lunga. Una condizione certamente non ideale per la gestione dei percorsi educativi e di reinserimento e che riversa sull’IPM un’utenza che è più difficile coinvolgere in questi percorsi, e dunque più facilmente destinataria di misure essenzialmente contentive. 

Quest’ultima considerazione offre lo spunto per alcune riflessioni di natura politica e criminologica in forza delle quali emerge la necessità di redarre e attuare un regolamento penitenziario che sia specifico per le carceri minorili e che guardi ai bisogni peculiari dei giovani detenuti. Se nel 2018 sono state introdotte norme ordinamentali specifiche per gli Ipm, si deve adesso procedere al passo successivo: quello di specificare tali norme attraverso un loro regolamento di esecuzione. Il regolamento può essere uno strumento estremamente potente per l’impatto che può avere sulla vita interna. È proprio per questo che non si può pensare di utilizzare al proposito le stesse disposizioni pensate per i detenuti adulti, neanche là dove le norme della legge si applicano a entrambe le categorie.

La gestione dell’inserimento scolastico, la gestione del lavoro e della formazione professionale, i contatti con le famiglie, la sessualità, il sistema disciplinare, gli spazi detentivi e collettivi, la prevenzione e l’educazione sanitaria, la presa in carico psicologica, il momento dell’accoglienza e quello della dimissione: questi e altri sono ambiti nei quali le disposizioni regolamentari devono saper guardare ai bisogni specifici delle carceri minorili.

Un regolamento di esecuzione per gli Ipm è dunque quanto oggi chiediamo con l’urgenza della consapevolezza che la pandemia può e deve costituire un’occasione riformatrice. Inoltre e non secondario: uno sguardo complessivo ai numeri, certamente confortanti, della detenzione in Ipm consente di mettere a fuoco alcuni nodi attorno ai quali sarebbe possibile costruire ipotesi di ulteriore residualizzazione della detenzione. Il primo è quello del sistema dei cosiddetti ‘aggravamenti’, ovvero ingressi in carcere per un periodo di tempo non superiore a un mese in caso di comportamenti inadeguati tenuti dal ragazzo in comunità. Nel corso del 2021 sono stati ben 170 gli ingressi in carcere dovuti all’aggravamento. È forse l’ora di cercare 

soluzioni diverse per reagire alla violazione delle regole della comunità, soluzioni che non richiedano il passaggio in carcere evitando le incongruenze già viste 

Nicola Fiorin (fonti . Sesto rapporto sui carceri minorili in Italia ass. Antigone)

L’interno dell’isituto penale minorile C. Beccaria di Milano

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Nicola Fiorin

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